Chi divora chi

Un paio di riflessioni in merito al marketing che «divora» i blogger farebbero comodo, scrive Loredana Lipperini, e non potrei essere più d’accordo. Lo spunto è la decisione di P&G di arruolare due «mamme blogger» per raccontare Sanremo in diretta dall’Ariston, ma potrebbe essere qualunque altra iniziativa [edit: e soprattutto potrebbe riguardare chiunque ha una voce e un seguito in Rete, a prescindere dai blog].

Come molti (ma non tutti) sanno io di lavoro faccio anche quella che queste iniziative le progetta, che si inventa cosa fare, chi coinvolgere, come, in che termini, con che obiettivi e quali i risultati sperati (che non sono quasi mai venderti qualcosa, è il caso di dirlo).

La mia prima riflessione nasce da tanti anni di esperienza sul campo anche come blogger, e come blogger che nel 2007 scriveva (e lo penso ancora):

Questo blog è uno spazio personale e non sarà mai in vendita, neanche per il miglior tramezzino del mondo. Chi vuole vendere il suo blog e la reputazione con esso guadagnata, è liberissimo di farlo, ma per favore, non mettetemi (non metteteci) nello stesso campo da gioco.

La mia prima riflessione nasce da qui e dal fatto che dal 2001, quando ho aperto il mio primo blog, a oggi, sono cambiate tante cose, ma una in particolare: nonostante io continui a considerarlo un ossimoro i «blogger professionisti» sono aumentati e non possono che essere considerati piccole aziende. Ha ragione Loredana a temere che ci sia qualcuno che divora altri, ma a volte, leggendo certe mail, certe richieste e certe risposte mi chiedo chi divora chi (o almeno ci prova), in tutti i campi.

La mia seconda riflessione è che il mio parere personale non è in vendita anche perché come spazio pubblicitario comprato vale assai poco: quello che vale è la fiducia di chi mi segue e che mi conosce e che sa che se consiglio un libro, un ristorante o un film è perché l’ho amato davvero. A volte amo qualcosa che ho scoperto io, altre qualcosa che mi ha mandato un’azienda: nel secondo caso ha senso che io taccia? Non credo (ma ovviamente esplicito il contesto, cioè l’omaggio).

Lavoro per Mondadori Libri da diversi anni, anni in cui sono stati pubblicati decine se non centinaia di libri: di questi io ne ho consigliati personalmente forse quattro. Sono stata divorata? Non credo proprio, è che li ho amati alla follia e non è che posso lucchettarmi l’amore (le aziende che amiamo tanto odiare sono anche quelle che creano i prodotti di cui spesso non possiamo fare a meno).

È vero che le aziende spesso trattano chi scrive online come spazi pubblicitari da comprare, ma è anche vero che spesso chi scrive online si comporta come uno spazio pubblicitario da vendere. Il mio lavoro è evitare questi e cercare di coinvolgere gli altri senza disturbare e senza fare pressioni, a volte riesce bene, a volte meno; il punto è sempre che se, come scrive Loredana, «(le mamme blogger) sono, potenzialmente, una forza in grado di esercitare pressioni non indifferenti» l’esercizio di questa forza passa anche attraverso una relazione aperta, pubblica e trasparente con le aziende, il muro contro muro non ha mai fatto andare da nessuna parte.

Ci sono 18 commenti

  1. Ma avrò il diritto di fare quel cazzo che voglio col MIO blog ? MIO vuole dire MIO, se mi gira il cazzo di venderlo lo vendo, punto e basta. Invece di giudicare gli altri, giudicate prima voi stessi e bevetevi una bella tazza di cazzi vostri, grazie.

  2. Ciao Mafe, condivido in particolare “… che il mio parere personale non è in vendita anche perché come spazio pubblicitario comprato vale assai poco: quello che vale è la fiducia di chi mi segue e che mi conosce …” Me ne sono reso conto in particolare come “mamma” blogger” (anzi sarebbe il caso di dire “papà blogger”) ricevendo regolarmente richieste da parte di aziende a parlare dei suoi prodotti per l’infanzia. Soprattutto quando si parla di (nostri) bambini, mi sono reso conto che oltre all’apprezzamento personale subentra anche una certa responsabilità. Del tipo è coerente farsi coinvolgere da un marchio di merendine se queste sono considerate un alimento controverso oltreché principale responsabile di una cattiva nutrizione?

  3. completamente d’accordo, però si dimentica spesso che in certi ambienti chiusi, se si cerca il dialogo con le aziende, proponendo anche perplessità, spesso si viene messi da parte o invitati a tacere, quando il lavoro è legato al marketing e alla comunicazione, mentre invece dovrebbe essere un plus quello di disporre di punti di vista divergenti. E purtroppo, per esperienza personale, mi sembra di intravedere questo enorme rischio tra le mamme blogger, ovvero l’omologazione e l’autoreferenzialità per il timore di perdere consenso da parte delle aziende (che dovrebbero invece essere molto felici di sapere che alcune cose non sono condivise!). In questo senso credo che l’affermazione di Lipperini sulla perdita di potere politico delle mamme blogger sia azzeccatissima qui in Italia. Esiste un mondo anche al di là delle aziende e un dialogo con le aziende che non passa sempre e per forza dal consenso.

    1. Su quel fronte sono completamente d’accordo: anche per un’azienda perdere l’occasione di un parere critico ha poco senso, le voci della rete sono utili più che per fare le pulci che per fare passaparola (per quello basta fare buoni prodotti :-)

    2. Il consenso e il dissenso, a mio parere, come ben sai, Francesca, fanno parte di un lavoro ‘dietro le quinte’, tra blogger/agenzia/azienda, e non necessariamente devono passare attraverso polemiche e proclami.
      Io personalmente, ho sempre adottato il metodo di parlare direttamente con l’azienda non tramite blog, ma tramite i canali professionali che mi sono creata. Nel mio piccolo, ho modificato alcuni approcci che ritenevo errati, cercando di proporre cose di valore. E non mi dispiace affatto farlo anche come ‘mamma’, che per ora non è forse una qualifica professionale, ma è una delle ‘etichette’ che a me non dispiace indossare, visto che mamma lo sono, e parlo con le mamme ogni giorno.

  4. Cara Mafalda, condivido in parte il tuo ragionamento, ma credo che tu parta da un assunto errato: il crescente peso dei blogger in rete. I blogger ormai contano pochissimo, vuoi per eccesso di offerta (troppi blogger, pochi veri professionisti), vuoi per l’eccesso di auto-referenzialità, vuoi per i contenuti ridondanti (il 70% dei blogger parlano sempre e solo di marketing e comunicazione in tutte le salse e si rilanciano a vicenda gli stessi contenuti), ma soprattutto perchè il loro valore è stato (quasi) spazzato via dai social network (facebook in testa, ma twitter non scherza) che hanno incluso nello stesso “calderone” mediatico blogger, giornalisti veri, imprenditori d’assalto in cerca di visibilità, parzializzando il livello di attenzione. Sono 15 anni che lavoro in rete, ho fondato diversi network, attualmente sono il proprietario del primo business network a proprietà italiana (H2biz, 42.000 iscritti) e ho sempre fatto a meno dei blogger. Mai mi è venuto in mente di “pagarne” qualcuno per portare acqua al mio business. Tanto meno adesso che il loro peso è “incontournable” … Forse il mio sarà un caso isolato, ma credo che se tu chiedi a qualche imprenditore “vero” (di quelli che fatturano in rete e non di quelli che fanno solo “movimento”) ti darà la mia stessa risposta. Un caro saluto e in bocca al lupo per la tua attività.

    1. Ciao Luigi, non mi chiamo Mafalda e non vedo traccia nel mio post di quello che tu chiami “il mio assunto” :-)
      (scrivo che sono aumentati i blogger professionisti rispetto agli amatoriali, non i blogger)

      Hai ragione invece a ricordare che “blogger” è un’etichetta ormai superata, correggerò il post ricordandolo. Per quanto riguarda il loro ruolo nel business dipende moltissimo da che business fai, ma appunto, come scrivevo, il coinvolgimento non è quasi mai a fini di business (ci sono modalità molto ma molto più veloci ed efficaci). E crepi il lupo.

  5. Vedo che questo dibattito, nato anni fa tra varie fasi anche piuttosto ridicole, raggiunge ora una maturità superiore.
    Il punto sta, credo, proprio nella trasparenza e nella libertà. Ogni blog o spazio o snodo della rete dovrebbe essere lasciato libero di impostare il suo rapporto con eventuali partner commerciali (se ne ha, se ne vuole) in modo trasparente. Può, nonostante questo aspetto professionale, mantenere un’altra credibilità, infatti ne conosco validi esempi. Oppure può risultare “in vendita”. Gli equilibri e le percezioni sono difficili, il rischio è sempre elevato.
    Mi fa piacere condividere completamente la tua conclusione:
    “Il mio lavoro è evitare questi e cercare di coinvolgere gli altri senza disturbare e senza fare pressioni, a volte riesce bene, a volte meno; il punto è sempre che se, come scrive Loredana, “(le mamme blogger) sono, potenzialmente, una forza in grado di esercitare pressioni non indifferenti” l’esercizio di questa forza passa anche attraverso una relazione aperta, pubblica e trasparente con le aziende, il muro contro muro non ha mai fatto andare da nessuna parte.”
    a volte riesce a volte no, il muro contro muro non serve a niente, la trasparenza. Grazie. Nei momenti in cui cedo al pensiero che non vale la pena continuare a crederci, me ne ricorderò.

    1. Grazie Flavia, a volte viene voglia di mollare tutto, poi passa. Dal marketing alla collaborazione, nell’interesse di tutti, aziende e clienti: questo è quello che si prova a fare, peccato che spesso la lettura strumentale di qualunque scelta aziendale prevalga.

      1. grazie a te. ma spiegami ancora meglio cosa intendi per “lettura strumentale di qualunque scelta aziendale”, perché forse rischio di dovermi identificare al 150% anche con questo concetto :D

      2. :-)

        esempio a: se l’azienda X non va su Twitter (o su fb, o sui blog o wherever) è perché non capisce la rete, se ci va è solo per fare marketing

        esempio b: se l’azienda X non assume giovanissimi (o non pubblica esordienti o non fa scrivere non professionisti) è perché c’è una casta chiusa, se e quando lo fa è per risparmiare

        (potrei continuare per anni)

      3. Ecco, appunto. Anch’io potrei. La retorica del potente sfruttatore e dei poveri indifesi, la lista dei buoni e dei cattivi, quando basterebbe vedere che la differenza la fanno solo le singole iniziative e le singole persone che ci lavorano, e che la stessa azienda può fare allo stesso tempo due cose bene e una male. questo per limitarci al “solo” marketing e non entrare in materia di responsabilità sociale/ambientale ect.
        PS ma poi perchè, per quale motivo dovrebbero andare in rete le aziende? ecco, l’altro inevitabile problema che abbiamo ancora nel 2012 è vedere il marketing come brutto e cattivo e manipolatorio per definizione…

      4. Sposo completamente la vostra tesi. E quoto benissimo la conclusione di Mafe: il muro contro muro non ha mai fatto andare da nessuna parte.
        Per cambiare la mentalità delle aziende (e dei blogger) si lavora dall’interno, e non con le polemiche sterili.
        Grazie per questo post, Mafe.

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