La Costituzione italiana parla di diritto al lavoro, non del diritto al lavoro dei tuoi sogni. In questi tempi duri si confonde spesso la sopravvivenza con la carriera, ma quella del diritto al perseguimento della felicità è la dichiarazione d’indipendenza americana e non mi sembra abbia prodotto una società molto migliore della nostra.

Non voglio dire di mettere da parte sogni e progetti, ma, al contrario, per evitare di boicottarsi da soli, di distinguere tra oggettive difficoltà (connaturate a qualunque progetto ambizioso) e colpevolizzazione. Niente come l’autocommiserazione complica la vita a chi pensa di aver qualcosa da fare e da dire, soprattutto in tempi in cui, nonostante tutto, le barriere al fare e al dire si sono abbassate tantissimo.

Parlo soprattutto di chi sogna un lavoro nell’informazione e nella comunicazione, sogni per niente recenti. Nel 1987 – nel secolo scorso – quando mi sono iscritta al corso di diploma universitario in Relazioni Pubbliche dello IULM c’era gente in coda dall’alba per assicurarsi il posto.

Internet e i media digitali hanno abbassato le barriere in ingresso alla selezione per i mestieri del fare informazione e del fare comunicazione, creando però un demi-monde di persone né dentro né fuori, un vero e proprio limbo in cui il rischio di restare intrappolati per sempre e di diventare complici dei propri aguzzini è elevatissimo. Non a caso da più parti si punta il dito contro il malcostume di pagare niente o pochissimo i collaboratori soprattutto se provenienti dalla Rete e non da canali di recruiting più tradizionali. Ecco, qualcuno ogni tanto deve ricordarlo: se dopo anni (facciamo cinque?) sei ancora pagato pochissimo c’è il rischio che tu stesso, continuando ad accettare condizioni inaccettabili, contribuisca alla situazione. Dire di no si può, in alcuni casi si deve.

Frequentando per piacere e per lavoro la Rete italiana dal 1996 posso dire con ragionevole sicurezza che non conosco gente dotata di talento & tigna a spasso. Mi dispiace, ma non c’è un modo gentile per dirlo. Conosco più persone che hanno volontariamente lasciato contratti giornalistici a tempo indeterminato in testate nazionali che persone di talento senza un lavoro.

È un po’ come se Internet fosse una strada di Rio de Janeiro in cui tutti i bambini giocano a calcio: se passa il Mister e ne porta in Italia solo uno (o nessuno) non è colpa della strada e tantomeno dei bambini, è che i posti in campionato sono pochi ed essere «abbastanza bravi» non basta, devi essere bravo abbastanza. Non confondiamo la maggiore facilità di espressione pubblica con lo sfruttamento, che esiste solo se una parte guadagna molto più dell’altra. Nessuno ci obbliga a pubblicare i nostri contenuti su Google (Blogger/YouTube), Facebook, Twitter o a regalarli a un editore tradizionale che lancia iniziative di crowdsourcing. Lo facciamo perché ci divertiamo a farlo o perché speriamo di essere notati facendolo e in entrambi i casi stiamo usando un servizio gratuito di cui riconosciamo l’utilità (altrimenti non lo useremmo). Twitter non sarebbe niente senza di noi, ma noi senza Twitter non avremmo Twitter.

Se vuoi autoprodurti senza usare piattaforme di altri puoi farlo creando e aggiornando un tuo sito e usando solo servizi a pagamento: Internet abbassa le barriere d’ingresso alla selezione e anche alla pubblicazione, ma da lì in poi il resto devi mettercelo tu e se non basta dare la colpa al mondo brutto e cattivo non aumenterà le tue chance di successo. Internet ti aiuta a rendere visibile il tuo talento, non ti garantisce che il tuo talento basti a giocare in serie A.

Io sono stata un copywriter «abbastanza bravo» e ho rinunciato a fare la giornalista e a scrivere romanzi perché a un certo punto ho capito che non ero «brava abbastanza» per guadagnarmi da vivere solo scrivendo. Credetemi, so benissimo di cosa parlo quando consiglio di riconoscere i propri limiti senza addossare la colpa al resto del mondo, anche perché, esattamente come nell’episodio di Sex & the City parafrasato nel titolo, prenderne atto è spesso una liberazione. No mixed messages.

PS: il titolo credo sia di Barbara Sgarzi, dico credo perché parliamo talmente spesso di queste cose che è difficile ricordare dove finisce il mio pensiero e inizia il suo. Questa precisazione serve solo a dividere con lei la montagna di insulti che sento arrivare :-)

Ci sono 116 commenti

  1. Non siamo “bravi abbastanza”, perché oggi, nel modernismo, non hanno diritto a lavorare tutti, ma solo coloro che sono appunto perfetti. oggi nemmeno passare uno straccio o pulire il water , è per tutti. Solo i laureati in “pulizia” può lavorare. Cioè un tempo si campava con quello che sapevi fare qualsiasi cosa andava bene. Pure ricamare con ago e filo e non la perfezione come si pretende oggi. Man mano poi diventavi più bravo, lavorando sul posto stesso. Oggi vogliono la perfezione. Un tempo tutti lavoravano, basta che avevi due mani, un cervello e facevi varie mansioni. Oggi è tutto più complicato . La figura professionale ha spiazzato tutti. Un tempo lavoravi così come eri. Se diventavi bravo lo diventavi grazie al lavoro stesso che, lavorando, imparavi il mestiere e lavorare… raccoglievi patate, cucivi, Ricamavi.. era già lavoro.. oggi poi le macchine hanno quasi del tutto dimezzato il lavoro di tutti… inoltre ho lavorato in passato per trent anni sempre in nero e sempre lavori saltuari “meglio che niente”, e il risultato è stato quello di trovarmi sempre senza niente. Oggi nemmeno i laureati trovano lavoro, figuriamoci se chi non ha competenze perché le aziende non ti fanno fare stages o perché ti dicono sempre “non hai competenze, non puoi lavorare”, go e dovrebbe fare uno per acquisire competenze serie, in questo modo? Quando ero giovane mi dicevano “sei troppo giovane, non hai competenze”, dopo i 30 anni mi dicevano, “sei troppo anziana e non hai competenze”. Scusate ma dove le dovevo fare queste competenze se volete la perfezione sulla terra? Il datore di lavoro non assume chi non ha competenze e quindi non si possono lamentare dicendo che no trovano persone di competenza… a me sembra una cosa strana questa… e la competenza, ripeto, poi è diventata perfezione assoluta. Un tempo andavi bene anche il lavoro era più semplice e meno rifinito .. Diciamo si lavorava in maniera “rustica” e andava sempre bene. Oggi si lavora che se una cosa non è perfetta, bella, appetibile, quella cosa è considerata male, e non la vuole nessuno perché ormai si vuole la perfezione. viviamo in un mondo pieno di tante cose e tutte devono essere perfette. Un tempo un tavolo andava bene anche se era leggermente storto. oggi fatto dalle fabbriche deve essere perfetto o non lo vendi. Un tempo tagliare i capelli, andava bene, basta che sapevi un po’ tagliare e fare shampoo semplicemente. Oggi se non sei una sorta di macchinetta perfetta, non puoi tagliare i capelli a nessuno perché se ci fosse una imperfezione, nel senso proprio che si pretendono capigliatura elaborate da rock star e complesse, o perfette, da copertina, allora non sei abbastanza professionale. Inosmma la vita degli antichi era più modesta e più semplice… e tutti lavoravano.. oggi devi essere perfetto, l immagine ha la sua importanza principale In tutto.. per questo il lavoro diminuirà sempre più… per questo gli stipendi diventano sempre più bassi,, perché in realtà viviamo in una vita bella con tanti comforts che gli antichi li potevano solo sognare… e nemmeno immaginare..

  2. Guardate, il problema è che sistemi come i nostri basati sulle raccomandazioni mettono anche perfetti incapaci. Sono d’accordo che è bene eccellere, tuttavia ho visto ristoratori non eccellenti lavorare egregiamente. La verità è che devi trovare un lavoro che serva davvero a qualche altro e in alcuni casi è basta saperlo fare, non necessariamente in maniera impeccabile. Non tutti siamo ‘alieni’ in qualcosa. Se così fosse, moriremmo di fame allora. Cosa dovrei fare quindi io che so fare più cose ma non in modo eccellente? Devo fare anch’io qualcosa che non mi ammazzi e non ammazzi. Non concordate?

  3. Secondo me, in definitiva, in Italia è molto più facile trovare lavoro che all’estero. Bastano le amicizie giuste e vai. All’estero ci voglio anche quelle, oltre a CV da paura che, sinceramente, oggigiorno nesssuno ha. A meno di essere un nuovo Sotssass – ma chi di noi lo è? E poi manca proprio la base economica e sociale per creare e mantenere una carriera che vada oltre i 3-5 anni. Ovunque si vive di lavoretti, anche nel mitico ‘estero’.

  4. In realtà c’è diversa gente che ricopre position immeritate per questioni di censo o di nome, soprattutto in Italia e nel settore umanistico e artistico. Che poi, se si va a vedere, pure all’estero è la stessa pappa e le carriere sono brevissime perché costituite di contratti temporanei. Da quello che noto all’estero bisogna essere bravi abbastanza se non di più come punto di parte E avere la raccomandazione che arriva, sì, grazie alle doti e al lavoro ma va molto a simpatia umana (direi moltissimo). Inoltre, bisogna essere servire a qualcosa, elargendo favori e contatti come merce di scambio. Per assurdo è più facile in Italia prendere contatti con le persone in base al proprio CV – basta saper fare qualcosa bene. In Italia tutti hanno megaCV però quando vai al sodo non sanno fare un granché.

  5. […] Mafe De Baggis in un post che ho letto proprio il giorno in cui ho ricevuto il tuo messaggio e che ti invito a leggere insieme a quest’altro (e con questo ti ho svelato un segreto da giornalista: ottimizza tempi e […]

  6. L’universo è tutta una questione di punti di vista, fino a due anni fa scrivevo bigliettini d’auguri per conto dei miei amici, adesso scrivo sul mio blog! Passi da gigante.
    E visto che i soldi per vivere li guadagno vendendo case, tutto il resto è gioia!!!

  7. Il talento invece c’è e anche ragazzi e neolaureati che se lo meritano. Sono i posti che mancano o vogliono mancare.Non credo che questo articolo dica cose sbagliate, credo che dica però 1/4 del grande problema generale.Uno dei problemi è la carenza di talento, certamente, perché spesso capita che chiunque ha un account twitter si crede Ferruccio De Bortoli.Lo vedo io stessa, da studente, con l’editoria. C’è chi si crede scrittore, c’è chi si crede correttore bozze e poi era meglio se andava a fare altro. Ma è solo una parte, secondo me, anche piccola. Perché il maggior limite è il non avere mai contratti né occasioni. E siamo a 2/4. Mettiamoci la crisi quindi la carenza di denaro che diventa conseguente carenza di assunzioni e selezioni e si finisce con non avere neanche uno stage. O averne tre, 4 di fila. Stage è esperienza formativa. Uno, due al massimo. Poi mi devi far lavorare. Credo, insomma, che sia davvero davvero complesso e che la carenza di talento non sia la causa delle mancate assunzioni. Perché se il talento manca non sei neanche preso in considerazione. Il disagio è quando il talento c’è, cola da ogni poro, ma tu rimani comunque nell’angolo perché: non ci sono soldi, sei bravo ma…, ecc ecc. Cani che si mordono la coda all’infinito. Io non mi occupo di comunicazione, ma voglio lavorare nell’editoria. Credo però che non sia tanto diversa la situazione.

  8. è che hai mancato il segno. il problema non è chi non è bravo e non riesce a fare quel lavoro (ché in effetti ci sta). il problema è chi non è bravo eppure lo sta facendo quel lavoro, grazie alla raccomandazione del padre, del prete, del politico ecc. e quelli che non sono bravi e stanno facendo quel lavoro lo rovinano e tolgono il posto ad altri che sarebbero molto migliori di loro. io di bravi disoccupati ne conosco un bel po’.
    comunque interessante discussione.

    1. Se ne conosci un bel po’ che vogliono lavorare nell’informazione o nella comunicazione online fammi mandare i curriculum, mi chiedono in continuazione di segnalare qualcuno o di fare io le selezioni.

    2. Per le raccomandazioni, esistono, fanno parte del contesto, amen. Ci sono tantissime persone non raccomandate che ce la fanno comunque.

      1. …e – diciamolo – le raccomandazioni funzionano, è vero, ma se poi non dimostri di essere “abbastanza bravo” la raccomandazione di Don Piero non ti salverà dal ritrovarti nuovamente a zonzo.

      2. “Non esistono talenti a spasso”:lapidaria!ebbene dovrò farmene una ragione:NON sono un talento, ma sono una “non abbastanza” per meritare di crepare di fame, d’accordo.
        Ma ci sta anche che forse che l’eredità, in termini di capitale sociale ed economico non sono distribuiti in maniera ineguale nello spazio sociale, e non sempre aiutano a farsi la “tigna”…, per dirla volgarmente, ma se vogliamo, diciamo che contribuiscono alla posizione nello spazio sociale all’interno di uno spazio dei possibili.
        Lamentarsi non serve ma essere realisti tenendo conto del fatto che la realtà è fatta di più punti di vista (ed esperienze di vita) anche.

      3. Mi prenderei volentieri della lapidaria, ma non per una cosa che non ho scritto e che non penso. Ho scritto “non conosco gente dotata di talento & tigna a spasso” e c’è una bella differenza.

  9. Brava mafe, pezzo da 10+, tanto vero quanto vero che, aihmè troppi si inventano ruoli o si affibbiano titoli nella speranza che siano questi, e non le capacità reali, a consentire loro di crescere e crear loro una professionalità

  10. Tutto vero e riscontrabile oltre che estendibile a molti campi creativi e umanistici. Assunto questo trovo che comunque motivi per essere arrabbiati oltre che con se stessi con qualcun altro ce ne possano essere. E uno di questi è il sistema didattico dalla scuola superiore all’università pubblica e privata. Son d’accordissimo su due cose: ci vuole talento e tigna insieme e i posti in campionato sono pochi. La scuola superiore dovrebbe farti capire quale è il lavoro dei tuoi sogni ma soprattutto se hai le carte in regola per farlo. Il fatto che i posti in campionato sono pochi quando ti iscrivi a una facoltà te lo dicono al contrario (i famosi “sbocchi” che si trovano sulle brochure son vari e fantasiosi) e per tutta la durata del corso, sia che stai nei tempi o no, aggiornamenti sulla cosa non te ne fanno. Agli “open days” si offrono rinfreschi, si mettono in mostra i progetti migliori e ti fan parlare con un paio di neolaureati, chiaramente quelli che giocan già in campionato. Quindi succede che ogni anno si iscrivono altri (il numero varia ma le facoltà di questi campi a numero chiuso son poche e han numeri decisamente alti, università private fan la selezione con l’alto costo della retta) che hanno il tuo stesso sogno e a fine percorso ci si ritrova comunque in tanti. Questo per dirlo schietto, alle università private ma anche pubbliche più iscritti si hanno più soldi entrano, non cito quale ma so di una in cui se non si supera l’anno e bisogna ripeterlo offre il 50% di sconto. Nelle università pubbliche proporre di rifiutare un 24 per non abbassare la media (all’estero quasi nessuno guarda il voto di laurea) è la regola ed è meglio perdere un anno(pagando un altro anno di retta) che cercare di entrare nel mercato del lavoro il prima possibile. E quindi i soldi entranti si investono per costruire distaccamenti e ottenere più iscritti più che per migliorare i metodi di apprendimento. Quindi una volta che si ha il pezzo di carta in mano o pochi mesi prima si viene in contatto con quell’ufficio chiamato “career service” che uno stage non retribuito te lo rimedia. Chiaramente con quello si considera conclusa l’esperienza con il nostro caro neolaureato che sarà contato per incrementare la percentuale di neoassunti dopo aver frequentato la loro gloriosa università. E quindi abbiamo i nostri laureati che son di 4 tipi: con talento e tigna, solo con tigna, solo con talento, ne con uno ne con l’altro. Se l’ultima categoria è quella che dopo aver letto questo articolo dovrebbe aver capito che ha vissuto un sogno che era solo quello e la prima ce la farà, le altre due vivranno esperienze alle volte anomale. Chi ha tigna ma non talento in un sistema non basato sulla meritocrazia andrà avanti, chi, il contrario, invece farà cinque e più anni pagato pochissimo o a spasso e poi magari prenderà altre strade. Mi si può dire che avere tigna è una cosa che non si può insegnare, io posso dire invece che il primo insegnamento dovrebbe essere quello di avere consapevolezza dei propri mezzi, farsi valere e sapersi vendere (non come dice mamma, ma dal punto di vista professionale).

  11. Io giocavo in un campetto e sono cresciuto a pane pallone e amici. Adesso ho un mio campetto e scopro sempre nuovi amici. Il pallone non serve più portarlo o cambiarlo se si buca. Rispetto a prima imparo molto e capisco anche gli schemi di gioco. Riesco a dosare le forze e non ho più l’ansia del goal.

  12. La verità è che si vedono ancora in giro troppi figli di papà, almeno nei posti ‘clou’. Questo non vuol dire che non si possa fare il lavoro dei propri sogni, almeno nel nostro settore. Ma se si può è grazie alla democratizzazione degli strumenti dovuta a Internet, non a una società che premia fino in fondo il merito e la passione. Detto questo, la passione non basta: occorre munirsi di creatività e coraggio.
    Tutto sommato, siamo fortunati.

  13. Un ottimo post per riflettere su temi che appassionano. Personalmente ritengo che in ogni caso essere onesti con se stessi sia sempre un vantaggio e quindi conoscere i propri limiti una possibilità.

    La cultura degli alibi illustrata benissimo da Velasco in varie occasioni come metafora di alcune situazioni non solo sportive non aiuta a crescere.

    Allo stesso tempo penso che le persone possano in qualsiasi momento imparare e insegnare molto, meglio se in un ambiente culturalmente fervido, e che nulla sia precluso.

    L’innovazione stessa può arrivare da chiunque e in qualsiasi momento.

    A volte poi professioni poco retribuite sono anche frutto di scelte molto personali, spesso dette di vita, con le quali fare i conti onestamente solo a livello personale.

    Ho conosciuto e conosco tantissimi talenti a spasso o malpagati per motivi che sarebbe difficile riassumere, ma che sicuramente non avrebbe senso limitare alla sola mancanza di meritocrazia ma spesso a fattori caratteriali ed esistenziali.

    Detto questo mi mette di buon umore il solo pensare al fatto che chiunque e a qualsiasi età possa fare delle scelte professionali e con applicazione ottenere dei risultati. Le cose succedono ma perchè ciò accada in ogni caso devi fare un qualche tipo di azione in questo senso.

    I risultati poi potranno essere molteplici, ma sarà comunque una risposta interiore a un bisogno intenso di migliorare e sperimentare.

  14. Mafe, che bello ritrovarti dopo tanto tempo leggendo un articolo cosi’ ‘on point’, come direbbero qui in America. E quanti giovani non solo ‘non abbastanza bravi’ ma anche ‘non abbastanza motivati al sacrificio’ e ‘non abbastanza curiosi’ ho trovato sulla mia strada facendo colloqui per assumere persone per fare lo stage da noi…

  15. Oltre a molti punti già ampiamente commentati, mi ha colpito l’osservazione circa l’abbassamento delle “barriere al fare e al dire”, cosa che nei punti di contatto tra comunicazione e produzione trovo sia molto problematica. E sfuggente, anche.

    1. Vent’anni fa se volevi scrivere dovevi trovare qualcuno che ti pubblicasse, oggi puoi farlo aprendo un blog. È una gran bella differenza se hai qualcosa da dire o da fare, non trovi?

      1. Sì, certo, mi sono espresso male. Volevo riferirmi soprattutto ai “luoghi” dove comunicazione e produzione si associano e dovrebbero cooperare. Mi rendo conto di essere troppo vago.

      2. Cioè gli editori? Se sì, sono d’accordo con te, lì le barriere sono alte, sempre più alte. È il passo prima che è aperto a tutti.

      3. Le barriere si sono innalzate proprio perché il primo passo è aperto a tutti.

      4. Se tutti possono pubblicare significa che non ci sono filtri che garantiscano un determinato livello qualitativo del prodotto e il livello stesso del prodotto si abbassa. La pubblicazione libera non è protetta da copyright e porta al-copia-e-incolla, circolano cioè le solite 4 idee che tutti scopiazzano e nessuno riesce ad eccellere. La pubblicazione non regolamentata sul web crea una sorta di scatola di vetro dalla quale nessuno riesce ad uscire. Il sapere diventa così accessibile a tutti, trasparente, ma nel contempo perde di valore.

      5. Beh, ma non è vero che nessuno riesce a uscire: ci riescono in pochi, ma possono provarci in molti più di prima.

  16. Purtroppo non condivido molti punti. Dalle tue parole emerge una vita fortunata, non che ci sia niente di male, anzi, da sicuramente speranza in tempi come questi, ma pur sempre una situazione “di parte” ai fini di un giudizio così vasto come la disoccupazione italiana. Intendo che giovani con talento a spasso io ne ho visti e ne vedo tanti. Dico che una laurea alla IULM non se la possono permettere tutti essendo un’Università privata. C’è chi non si può permettere di rifiutare nemmeno il più misero stipendio perché non ha una famiglia che può sostenerlo nei giorni in cui aspetterà che tutti rifiutino quel salario e dunque questo si alzerà. E c’è chi ha lottato,come me, rifiutando quattro spicci e ha visto passare avanti persone disposte a prenderli quei pochi euro. Ti avrei dato ragione dieci anni fa, ma oggi no, oggi la disoccupazione è qualcosa che tocca anche chi è “bravo abbastanza”.

    1. Non mi sognerei mai di parlare della disoccupazione, io parlo di chi vuole fare carriera in settori molto ambiti, che è una cosa molto diversa.

    2. In realtà è la “laurea” IULM ad essere il ripiego di chi non si può permettere una laurea vera in un’Università pubblica. Perché, in Italia, nelle Università pubbliche bisogna studiare… e non tutti ce la fanno.

  17. Il discorso si può anche ampliare.
    Io credo che esista una componente di fortuna (se fossi nato nel cuore dell’Africa adesso il mio unico pensiero sarebbe quello di mangiare, sopravvivere), una componente caratteriale (si può essere ambiziosi oppure per nulla..pigri o dinamici..e così via..ci siamo capiti) ma forse la cosa che più conta non vorrei che fosse genetica (il talento, le idee illuminanti..la capacità di adattarsi nel modo migliore ad ogni situazione, ecco..beh..forse sono tutte cose che non si comprano al supermarket, purtroppo).
    Il monolite di kubrickiana memoria non permette a tutti di avvicinarsi (anzi, a pochi..forse pochissimi) ed è anche compito di una società giusta capire queste diversità intellettive senza ghettizzare o viceversa esaltare troppo. Dunque mi chiedo..come si concilia tutto ciò con la meritocrazia ? Nascere senza ne arte ne parte è davvero una colpa ? No..perchè tutti i giorni vedo persone che economicamente stanno discretamente..stabili soprattutto..e alla fine il loro lavoro si riduce a qualcosa che una scimmietta potrebbe in qualche modo replicare. Cosa ne pensate ?

  18. Mi ero lasciato la lettura del post per fine giornata: forse avrei dovuto prendere il tempo di leggere il tuo post prima del resto. Mi sarebbe servito. Hai praticamente detto in modo molto più puntuale e preciso, quello che oggi ho cercato di trasmettere ad un paio di persone.

    Sono d’accordo completamente.

    Complimenti. A presto.

  19. Mafe. mi piace molto il tuo articolo. E’ schietto e sincero, e molto condivisibile. Mi trovi su Linkedin, se vuoi. Ciao

  20. Concordo appieno e aggiungo che in certi contesti molto appetiti non basta nemmeno essere bravo abbastanza ma anche avere un bel cognome per cui certi percorsi sono da sconsigliarsi a priori e puntare decisamente all’estero.

  21. Concordo con questo articolo, e soprattutto che forse i momenti di crisi servono a far pulizia e far fuori la gente non brava, i migliori restano.

    Al momento io sto cercando di realizzare il mio sogno di lavorare come grafico freelance.

    Se dovessi fallire allorà dirò che è vero non sono brava abbastanza, ma non non avrò nè rimorsi nè rimpianti perchè ce l’avrò messa tutta :)

  22. Mafe, non hai ragione. Hai stra-ragione!
    Spesso mi insultano apertamente quando dico che non conosco gente in gamba che non ha nulla da fare, in qualsiasi campo. La penso esattamente come te, da sempre.
    Gran bel pezzo, grazie.

  23. Molte cose le condivido. Peró non è necessariamente vero che se sei bravo non resti a spasso. Semplicemente spesso accade che ti fanno lavorare ma non abbastanza da mantenerti serenamente. Dalle mie parti si dice : il sazio non crede al digiuno. È proprio così.

    1. Purtroppo non è questione di essere bravi, ma bravi abbastanza da rendersi indispensabili. Non è un distinguo da poco. E non credo che nessuno oggi possa dirsi sazio.

  24. Tutto condivisibile, e difatti condiviso. Ma c’è anche un’altra verità: “Forse sei anche bravo abbastanza, ma non sei abbastanza bravo a promuoverti”. Ci sono persone in grado di produrre contenuti qualitativi ma poi incapaci di portarli all’attenzione del mondo. Come dico sempre, se Dante avesse scritto la Divina Commedia e poi l’avesse chiusa in un cassetto, questa de facto non sarebbe mai esistita.

    Allora: o riteniamo che la bravura a promuoversi fa parte della bravura professionale tout-court (e io in un certo senso la penso così). O mettiamo giù lo statement che insieme alla bravura di fare qualcosa e al giusto livello di autocoscienza in materia va abbinata anche la capacità di autopromuoversi, capacità assolutamente non scontata, specialmente su Internet. E così apriamo la strada per un ulteriore, ottimo post di Mafe. Che aspetto con ansia!

  25. Condivido. Condividerei di più se fosse vero che quelli che “vanno avanti” sono solo i “bravi abbastanza”.

  26. Mi sembra solo mezza verità. Che non vuol dire che sia falso, ma che ad abbracciare in toto questa idea, si finisce nella mano invisibile del mercato (o nella bontà del destino, nell’ottimismo cosmico), che ha mostrato i propri limiti. Purtroppo c’è gente abbastanza brava che fa il lavoro di chi sarebbe bravo abbastanza ed è costretto a fare altro.

    1. Non lo so, ma se c’è, che mi mandi un curriculum. Non faccio miracoli ma ricevo continuamente richieste in tal senso.

  27. Credo sia abbastanza idealistico pensare che e’ solo questione di talento, ovviamente ad un certo livello lo e’. La verita’ e’ che in molti casi, forse la maggior parte, la ragione per cui qualcuno dopo 5 anni e’ ancora pagato pochissimo e’ la mancanza di passione. Quando non c’e’ passione, c’e’ ancor meno voglia di fare.

      1. Io credo molta tenacia e perseveranza – unite all’aggiornamento continuo.
        L’unico sistema per farsi venire l’idea unica e irripetibile.

  28. quanto è vero. ma essere sinceri con se stessi è tremendamente difficile. d’altra parte, dare la colpa agli altri è facilissimo.

  29. Condivido e non condivido.. Il fatto secondo me è che siamo decisamente troppi, troppa concorrenza.. mi domando negli anni ’30 chi finiva un liceo era visto come un letterato intelligente.. negli anni 60 70 si e aggiunta l universita, poi diventata triennio, ora senza il quinquiennio non si fa niente a breve ci vorra un dottorato e cosi via.. ma allo stesso tempo ci vuole anche esperienza nel lavoro.. insomma è un vicolo cieco.. si studia fino a 26 27 anni.. si va sul mercato del lavoro senza un minimo di esperienza cosa sicuramente piu importante almeno per il datore di lavoro di una laurea.. è tutto storto.. eppoi diciamoci la verita, io ho avuto la fortuna di trovare un lavoro in estonia, pagato non molto ma va piu che bene per il paese dove vivo.. ma voglio dire, la fortuna poi dove è? costretto a stare 9 ore in ufficio tutti i santi giorni a veder passare la giovinezza (ho 29 anni), e facile dire puoi sempre mollare il lavoro, ma per fare cosa poi? chi paga le fatture e l affitto? giocando al superenalotto? no le cose vanno cambiate.. ma purtroppo c’è troppa ingiustizia nel mondo.. ho lavorato un anno in orfanotrofio.. li ho avuto la forza di mollare il lavoro, per quanto mi piacesse, ma a quelle condizioni salariali come avrei potuto vivere?? nonostante fosse il lavoro che piu mi attirava.. per cui per quanto questa frase “Se dopo anni (facciamo cinque?) sei ancora pagato pochissimo c’è il rischio che tu stesso, continuando ad accettare condizioni inaccettabili, contribuisca alla situazione.” suoni bene non rispecchia la verita.

  30. Ho scritto di questo argomento, proprio ieri.
    E’ sempre difficile generalizzare e ognuno ha la sua storia. Penso che la verità sia nel mezzo tra piangersi addosso, pretendendo che il lavoro cada addosso dal cielo e darsi le mazzate da soli, ignorando che molti di quelli che dicono “I laureati se non trovano lavoro vadano a raccogliere i pomodori” sono gli stessi che 30 anni fa hanno vinto il concorso alle poste col classico “aiutino”.

    Ciao!

  31. Ottimo “pezzo”, assolutamente condivisibile, sarebbe bello un giorno poter veder applicato il criterio meritocratico – sviluppatosi in maniera “organica” nell’online – anche a tutti i settori offline, sopratutto quelli dichiarati di pubblica utilità o utilità sociale.

  32. ottimo post, davvero.
    te lo dice uno che da piccolo sognava di fare il car designer, che si è laureato in architettura/design e che poi ha capito 2 cose:
    – la prima che appunto non era “abbastanza bravo”
    – la seconda che non era “abbastanza ossesionato”
    ci sono mestieri che sono a tutti gli effetti “vocazioni” per fare quei mestieri devi essere “molto ma molto bravo” E “totalmente ossessionato”, anche perché banalmente devi battere la concorrenza delle migliaia di persone che in tutto il mondo ambiscono al posto al quale ambisci tu…

      1. Ciao, bel posto ma hai dimenticato che bisogna portare valore aggiunto, il bravo abbastanza non vale già quasi più. Ci vuole l’idea, unica e originale.
        È dura!

  33. Tutto molto vero ma anche molto, molto triste.
    Da laureata Iulm nella tua stessa facoltà, non posso che darti ragione, soprattutto per quanto riguarda l’autocommiserarsi.
    Unico appunto che devo fare, però, è che talvolta la vita impone “cause di forza maggiore” (delle quali non entrerò nei dettagli) per cui che tu sia bravo o meno, ti vedi costretto ad accettare lavori sottopagati e ad accantonare i sogni…purtroppo.

    P.s. in realtà il tuo titolo è parafrasi del film “La verità è che non gli piaci abbastanza” tratto da un episodio di sex & the city, che però aveva un altro titolo (Il silenzio è d’oro).

  34. gli americani hanno dei problemi opposti ai nostri,loro hanno esagerato con la libertà e il risultato è stato simile al nostro,niente di fatto,mentre noi invece, siamo imbrigliati in retaggi storici che frenano lo sviluppo del paese.
    analisi lucida e precisa,la tua,distinguere tra lo”sbarcare il lunario” e avere successo è doveroso per chi vuole andare oltre e direi,che sei sulla buona strada da come ragioni…

  35. Mafe non avresti potuto essere più precisa! È esattamente così come dici tu. Per inciso, anche io ho rinunciato, per gli stessi motivi e con la stessa consapevolezza. Tentare si deve, ma “l’accanimento terapeutico” è sempre un vicolo cieco.

  36. La montagna di insulti probabilmente arrivera’ lo stesso, ma volevo farti sapere che io sono d’accordo con te. QUi a Londra parlaimo spesso di questi temi con amici “digitali” e non, soprattutto italiani, e in pratica concordiamo con te su tutta la linea. E no, non bisogna necessariamente scappare in un latro paese- l’importante e’ capire cosa sai fare, perche’ e’ per fare quello che ti pagheranno…e poi come dici tu ci vuole la “tigna”. Lamentarsi non serve a niente. Grazie Mafe!

  37. Dipende anche dalle opportunità che hai avuto in eredità, ancor prima di essertele guadagnate. Questo va tenuto conto. E non si parte tutti dalla stessa posizione.

  38. A me pare che questo articolo contribuisca a mantenere lo status quo dell’attuale situazione, tutta italiana, dove abbiamo autentici geni costretti ad emigrare all’estero per poter realizzare i propri sogni. Perchè questa è un’anomalia tutta italiana, dove al talento si preferisce la raccomandazione, la conoscenza personale, l’amicizia ed altre forme più o meno manifeste di rapporti clientelari. Tutti hanno il diritto di ottenere il lavoro dei propri sogni, perchè in questo modo si mette in modo un meccanismo virtuoso che spinge i soggetti a darsi da fare al meglio delle loro capacità. Dunque la società riceve una spinta dinamica che porta ad un miglioramento. Accontentarsi, spesso, genera solo frustrazione e quindi una paralisi della società. Noi abbiamo bisogno di autentici pazzi per migliorare questo paese, di imprese folli per risollvevarci da quella fossa da repubblica delle banane nella quale siamo sprofondati. Io voglio vedere più disoccupati che diventano imprenditori di successo e più periti industriali che diventano medici o avvocati. Perchè altrimenti vale quanto detto da Curzio Maltese quando parlava di paese in coma. E’ giunto il momento di darsi da fare.

    1. È quello che ho scritto, solo che ottenere il lavoro dei propri sogni è un dovere, non un diritto, e richiede una dedizione totale e uno sbattimento assoluto che mal si concilia con colpevolizzazioni e autocommiserazioni.

      Vuoi vivere scrivendo? In questo momento hai i mezzi per farlo senza chiedere permesso a nessuno. Farsi assumere da un editore non è “il lavoro dei tuoi sogni”, è un progetto di carriera.

  39. Che dire.. ho giusto un paio di persone a cui farebbe bene leggere e rileggere questo bell’articolo. Approvo in pieno e diffondo. Complimenti.

  40. Non ti conoscevo, e ho avuto l’opportunità grazie ad una condivisione su Facebook. Sono pienamente d’accordo, “talento e tigna” (bellissima) pagano sempre!
    Daniele

    1. Perché molti tradurranno il “non bravo abbastanza” con “non bravo fottiti”, lo so, ci sto, è nell’ordine delle cose.

      1. bellissimo post, un pò crudo come deve essere ma preciso, di quella precisione che quasi ti toglie il fiato.
        Io non so ancora se non sono bravo abbastanza anche se devo ammettere che a volte è proprio difficile quadrare il cerchio specie se si ha famiglia e dalla sera alla mattina ti ritrovi a spasso, il minimo che cerchi di ottenere è di rimanerlo il meno possibile con le possibili conseguenze di accettare quasi l’inaccettabile (dico quasi perchè nel mio caso non farei mai un lavoro che non rientra nella mio concetto etico e morale).
        Nonostante questi possibili incidenti di percorso sono sempre più convinto che i talenti non saranno mai a spasso

  41. E come la mettiamo con quelli che con la mancanza di talento ci hanno creato una professione? Magari colmando le lacune con “altri” mezzi. Perchè il tuo discorso è giustissimo, e lo sottoscrivo in toto. Ma non si deve mai dimenticare la fitta schiera di incompetenti che abbassa il livello del servizio e l’abbordabilità della domanda. Mi piacerebbe leggerti su questo argomento, trovo tu abbia un modo educato e saggio di dare la tua opinione :)

    1. Ehi, ho scritto che non conosco talenti a spasso, non che tutti quelli sistemati se lo sono meritato (quello è tutto un altro fronte). e grazie, davvero.

      1. Però dobbiamo presumere che, per ogni incompetente al lavoro, ci sia un competente che potrebbe fare meglio quel lavoro ma non vi può accedere. Se poi pensiamo che tutti i competenti (quelli bravi abbastanza) in realtà un buon lavoro ce l’hanno (mi sembra la tesi del post), allora gli incompetenti non sono tali, essendo soltanto dei sottoqualificati che occupano posizioni per cui non si riesce a trovare di meglio. Non conosco questo mercato del lavoro (e quindi sono qui a scrivere per la semplice ragione che mi piace il suono della mia tastiera), ma non credo che sia il caso.

      2. Se ci sono persone in buone posizioni lavorative che non meritano, le hanno tolte a qualcuno…qualcuno che può lamentarsi a buon diritto che pur essendo bravo, non ha quel che meriterebbe (come dire: forse questo contraddice la tesi del post).

        Se tutti quelli bravi invece sono al lavoro, e c’è ancora spazio per gli incompetenti, vuol dire che i bravi scarseggiano. E, a lume di naso, non credo.

  42. Consigli “…di riconoscere i propri limiti senza addossare la colpa al resto del mondo,…” e prevedi che arrivi un montagna di insulti?
    Franchezza e realismo sono da prendere a modello mica da biasimare.

  43. l’ambiente è però molto chiuso, oltre a essere bravo abbastanza devi essere nel jet set digitale tanto che l’esser bravo abbastanza è oltremodo relativo

  44. Sottoscrivo tutto ma aggiungerei anche un ulteriore dettaglio (che mi appartiene per storia e scelte): anche avere la libertà di esprimersi in questo lavoro ha un prezzo, e non è monetizzabile. Ma secondo me è un valore aggiunto notevole (per me imprenscindibile) al proprio fatturato annuale. Se non guadagno 5 volte quello che guadagnavo 15 anni fa, ma posso dire quello che penso, sempre, anche da “sottoposta”, e “scegliere” cosa fare e cosa no, beh, mi ritengo molto ricca lo stesso.

      1. mmm… con la storia di “facciamo un altro lavoro” mi sa che non andiamo molto avanti, se uno vuol fare questo, di lavoro. Così scrivere o fare comunicazione, diventa un non-lavoro, come fare il musicista. Il che non dovrebbe essere.
        Vero è che se si ha uno stipendio, altre cose si fanno a cuore più leggero, ma bisognerebbe averlo (il lavoro nr.1) e personalmente non mi va di competere con chi, magari dipendente pubblico, fa offerte sottocosto…vabbè, niente sfoghi, per oggi :-) bella discussione, in ogni caso!

      2. Annabaldo, non è che “diventa”, lo è già. In questo momento lavorare nell’editoria è un sogno più che un progetto, è bene averlo tutti molto chiaro e il prima possibile.

  45. Non saprei cos’altro aggiungere se non che continuo a ringraziare il giorno in cui ho detto di no a un’assunzione per iniziare a lavorare con te. Grazie, amica!

  46. Sottoscrivo e aggiungo che la cosa vale anche in università, ci sono persone che perseguono il sogno di fare un lavoro per il quale non sono tagliati o che è troppo difficile per loro, il migliore successo formativo è a quel punto cercare di convincerli a piantare lì e trovare qualche cosa di più consono.

    Spesso i problemi nascono dal fatto che quando ci si iscrive in università si inseguono sogni, io cerco da anni di inculcare in mia figlia l’idea che per scegliere una scuola non basta che ti piaccia, è importante che ti insegni qualche cosa che non fanno in troppi e per la quale c’è qualcuno disposto a pagare.

    roberto

    1. E fu così che divennero tutti commercialisti ed ingegneri.. se il tuo sogno è fare una cosa, l’unico modo per guadagnarci da vivere è: farla! Non diventerai mai “bravo abbastanza” in nessun campo se non ti piace o se non ti ci butti appieno! Così condanni tua figlia alla mediocrità e al “farsi andare bene” un lavoro medio invece di esprimere il suo talento.

  47. Il pezzo che mi piace di più è anche, secondo me, il più controverso: “Se dopo anni (facciamo cinque?) sei ancora pagato pochissimo c’è il rischio che tu stesso, continuando ad accettare condizioni inaccettabili, contribuisca alla situazione.” Sono d’accordo con te, ma forse non sono mai stato nella condizione di dover accettare l’inaccettabile per cause di forza maggiore, come ad esempio ‘mangiare’ o ‘dar da mangiare a qualcuno’ :)

    1. È il più controverso perché se è in ballo la sopravvivenza ci sta anche che per un po’ accetti lavori diversi da quelli dei tuoi sogni. Nel 2004 io per mesi ho fatto editing di definizioni di cruciverba a un ritmo di un migliaio al giorno, se no non mangiavo.

      1. Tutto vero, anche le obiezioni. Vero che spesso ci vuole anche un “colpo di fortuna”, altre volte il coraggio di rischiare, dicendo di no. Vero che se si accettano cose inaccettabili, se ne diventa complici. Vero che il tutto è difficile, credo che nessuno abbia la panacea, però un’analisi (meglio se cruda e quasi inaccettabile) serve sempre, come anche sentire le esperienze altrui.

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