Ai tempi di it.arti.cinema, un newsgroup in cui appassionati di cinema cazzeggiavano e si scannavano su qualunque cosa, alcune dinamiche di socialità in rete erano già così evidenti da avere un’etichetta precisa, quasi sempre trovata da Spaceman Spiff (sì, erano gli anni ’90, il tempo in cui presentarsi con nome e cognome era un vezzo di pochi).
Una delle mie etichette preferite era il «gong», cioè quel particolare argomento a cui persone anche pacate reagivano in modo viscerale, non riuscendo a evitare di infilarsi in una lunga discussione inutile. Visto che parliamo di cinema il gong funzionava più o meno come lo “Scoiattolo!” di UP:
Quando parliamo di media digitali io ho tre «gong» che mi fanno perdere un sacco di tempo e di energie. Ho promesso durante il primo Digital Update Social Content che non ne avrei più parlato, adesso lo faccio pure qui così magari riesco a liberarmene: voi lo sapete, io so che sapete, non ne parliamo più.
1) La parola utente
Utente è sia la traduzione di «user» sia la sostantivizzazione di «utenza», in anglosassone «account». Non la sopporto perché rappresenta in pieno l’ipertecnologizzazione culturale degli ambienti digitali. I media digitali hanno bisogno di più umanisti e meno tecnici, di più persone e meno utenti. Vuoi che le persone con cui cerchi di entrare in relazione pensino, agiscano, scrivano, inventino o vuoi che usino qualcosa? È un approccio di design, non solo linguistico; per quanto mi riguarda io ho anche la maglietta.
2) Il vero significato dell’espressione «nativo digitale»
Nativo non vuol dire superesperto, nativo vuol dire qualcuno che è nato in un contesto (framing) che troverà «normale« (se non «giusto») per tutta la sua vita. Un nativo anglofono parla benissimo inglese, ma non è detto che sia un raffinato linguista o un talentuoso scrittore: vogliamo smetterla di scoprire l’acqua calda ogni volta che verifichiamo che i “nativi digitali” non sanno sostituire una scheda madre o non capiscono le complesse dinamiche di socializzazione mediate dal computer?
I nativi digitali non capiscono la differenza tra online e offline perché non hanno mai conosciuto un mondo solo offline, impariamo da loro e insegniamogli il resto (senza paternalismo).
3) Perché è importante capire che Twitter non è un social network
Questa mia ossessione fa parte di un problema più ampio, la tendenza a usare community, social network e social media come sinonimi. Non lo sono: sono parole che descrivono modalità diverse di interazione tra umani (non tra utenti, ah ah, ci sono cascata di nuovo). La community è un insieme di persone affini che possono anche non conoscersi, il social network è un insieme di persone eterogenee che hanno un legame preesistente (parenti, compagni di classe, colleghi, amici, vicini di casa), i social media sono i mezzi di comunicazione che nascono da contenuti pensati più per socializzare che per informare (e che a volte informano pure, ma è un vantaggio collaterale). Vuoi continuare a pensare e dire (in ottima compagnia) che Twitter è un social network? Fai pure, ma poi non lamentarti se non lo capisci, non ti piace o non ottieni i risultati che ti aspettavi.
Allora che cos’è, dici? È una piattaforma di microblogging, non a caso progettata da Evan Williams, il designer di Blogger.com. Twitter funziona in base ai contenuti, non alla relazioni: è l’esatto contrario di Facebook, per questo è meglio usarli entrambi (tenendo presente che, nella competizione, entrambi cercano di assomigliare all’altro). Non sei convinto?
(E sì, ho altri “Scoiattolo” (molti altri), ma per il 2014 mi limiterò a cercare di non reagire a questi :)
Mafe, è molto interessante la tua disamina dei Social Network e la tua analisi delle differenze semantiche tra social network e social media.
Spesso si tende a confondere queste differenti realtà, ma la cosa peggiore è che molte persone oramai le ritengano la loro unica fonte di interazione con il prossimo…
Maria