La prima volta che sono stata a New York avevo 22 anni ed ero l’unica della mia famiglia a parlare inglese: era il 1991, Giuliani non aveva ancora ripulito Times Square e il primo impatto con la città mi ha steso, nel bene e nel male. Avevo la straordinaria sensazione di essere nata lì, di conoscerla meglio di casa mia, di conoscerla da sempre e l’altrettanto straordinaria consapevolezza che invece i miei erano totalmente spaesati e che avrei dovuto dedicarmi a loro invece che alla città.

Il loro problema? La lingua e le incredibili conseguenze del non parlarla, prima fra tutti la totale delega di qualunque razionalità, decisione e orientamento. A me. Che volevo solo gironzolare con il naso in su.

Non so se avete presente: se decidi che qualcuno parla per te abdichi su tutto. Il semaforo era verde e loro mi guardavano per capire se potevano attraversare, una buona metafora per tutto il resto della vacanza (che vi risparmio).

Mi è tornato in mente settimana scorsa, quando sono stata invitata dal marketing dell’Alto Adige per una due giorni di benessere e giardini botanici, #roseinaltoadige. Un gruppo di cinque donne adulte, con un’accompagnatrice d’eccezione, ed ecco che io, proprio come i miei genitori vent’anni fa, ho abdicato su tutto, affidandomi a lei per biglietti, treni, orari, programmi e decisioni ovvie tipo «Prosecco o champagne?». C’era Giulia che pensava a tutto ed eccomi tornata una bimba portata in vacanza.

Ecco perché è così sbagliato accentrare la gestione delle attività legate a Internet, invece di distribuirle a tutti integrandole con i diversi ruoli. Il digitale è una lingua, un territorio, un percorso: se sai che c’è qualcuno che se ne occupa, abdichi. Lo fai a tal punto da avere una specie di obnubilamento temporaneo delle tue facoltà intellettuali, per cui non capisci neanche più i codici che non c’entrano niente con Internet, come il semaforo a New York non c’entra niente con la lingua.

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